domenica 28 dicembre 2008

18/03/1968 DISCORSO ROBERT KENNEDY UNIVERSITA’ DEL KANSAS

Le parole di Robert Kennedy all'università del Kansas. Un discorso di disarmante attualità su cui ogni singolo componente della società moderna dovrebbe soffermarsi a riflettere...

“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL).

Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.


Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere.

Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.

Robert Kennedy

Contributo inviato da Ruggiero Arfiero

giovedì 18 dicembre 2008

Abiezione...

Abiezione: secondo il dizionario “Stato, condizione di persona o cosa abietta; vergogna, infamia: abiezione d'animo, di pensieri, di costumi - Avvilimento, disonore: vivere, cadere nell'abiezione” appunto.

Insomma, un essere abietto è una persona che mortifica la sua stessa essenza di essere umano, e quindi si trova in una posizione “abietta”. Potrebbe essere il caso di una prostituta, costretta a vivere in una schiavitù resa ancora più tremenda dal fatto di essere alla luce del sole, in mezzo ad una strada ad essere in una posizione abietta. Potrebbe essere un mafioso, che uccide, che spaccia droga, che rapisce e poi si trova a vivere in casa di una persona importante ad essere in una posizione abietta. Come lo sarebbe anche l’ospitante in questa eventualità, che per una questione di convenienza “convive” placidamente con il suddetto individuo. Potrebbe essere un’azione abietta quella di impossessarsi con la corruzione di alcune aziende, che so una fabbrica di paralumi, di lacci per scarpe o un gruppo editoriale. Sintomo di abiezione morale potrebbe essere quello di non rispondere alle domande di un Pm che vuole sapere da dove vengono alcune decine di milioni di euro o di aver fatto parte di progetti massonici poco chiari.

Ci sarebbero almeno altre tre pagine di esempi su quello che potrebbe essere l’abiezione morale nel suo senso più vasto, ma mi è difficile pensare che sia sintomo di abiezione, quello di votare per uno schieramento politico diretto da una persona incensurata e che ha il pregio di aver fatto recuperare decine di miliardi di lire e di aver smascherato uno dei sistemi di corruzioni più estesi del mondo. Ma per l’onorevole Berlusconi non è così. Quindi il quotidiano “Corriere Della Sera” pubblica queste dichiarazioni: "A quelli che si sono lasciati abbacinare da ciò che il signor Di Pietro continua a predicare ogni giorno, dite che votarlo e' un vero e proprio atto di abiezione morale."

Difficile che uno che usa un parolone come “abbacinare” non conosca anche quello di abiezione, quindi sarebbe strano che ora se ne uscisse con un sempre verde “sono stato frainteso”.

Meraviglioso non credete?

Contributo inviato da Ivan Astorelli

venerdì 12 dicembre 2008

La riforma Gelmini travolta dall’Onda e dai sondaggi


Travolta dall’Onda e affondata dai
dati sullo sciopero della scuola del 30 ottobre scorso, nonche dalle proteste
del Pd, Mariastella Gelmini ha fatto retromarcia. Proprio alla vigilia della nuova protesta del mondo della scuola.Il maestro unico sarà un optional, ci sara ma solo se le famiglie lo chiederanno. Alle medie, temposcuola piu corto di 2 ore. Congelato persino l’incremento del numero massimo di alunni per classe. Mentre la tanto sbandierata riforma delle superiori (licei, tecnici e professionali) slitta di un anno: arrivederci al 1˚ settembre 2010 e non piu come previsto dal 2009.

In pratica, hanno vinto i sindacati (Flc-Cgil in primis), le Regioni, l’opposizione, i comitati dei genitori, gli studenti e le maestre. Ha perso la Gelmini, che ha dovuto pagare lo scotto di aver fatto perdere a Berlusconi punti di gradimento nei sondaggi.

(Da l'Unità del 12 dicembre 2008, vignetta di Sergio Staino)

lunedì 8 dicembre 2008

Strano popolo quello Romeno...


Strano popolo quello Romeno. Persone capaci di dire cose assurde all’orecchio dell’evoluto Italiano medio abituato a decenni di buon governo, di esempi di democrazia partecipata e di grande coerenza.

Strano popolo soprattutto se si pensa che hanno dei gusti strani per scegliersi i loro rappresentanti.

Già, se si pensa che non sono nemmeno capaci di fare una telerissa elettorale come si deve, a suon di insulti feroci, sedicenti stallieri, lauree negate seduta stante, «coglioni», campagne per il “disordine”pubblico, emergenze nazionali, citazioni di Obama e senza nemmeno menzionare il proprio avversario politico rivolgendosi ad esso come «il principale esponente dello schieramento a noi avverso».

Loro no, sono ancora indietro poverini, e si limitano a lanciarsi qualche bicchiere d’acqua stizziti da il contraddittorio che, come si sa bene, da noi è sempre presente e vigile.

Ma loro vanno oltre, nella loro arretratezza. Così, una persona volenterosa come Alemanno, che è molto attento alle tematiche e alle tensioni razziali, aveva pensato bene di nominare una rappresentante dei rapporti tra Romania e Italia, ma questi cittadini romeni cosa ti combinano? Dicono “picche” a gran voce contestando la soubrette con argomenti di dubbio gusto.

Sembra che i nostri amici Romeni debbano ancora imparare molto da noi Italiani, che infatti avevamo fatto subito una mossa “all’Italiana” pensando a lei, per i rapporti tra i due paesi per le limpide doti dimostrate sul campo. Memorabile, per citarne una delle tante, la mirabile interpretazione della soubrette con Gerry Scotti, nei panni del vampiro e lei della nipotina innocente che, in sottoveste, viene attaccata dal Dracula alla Lombarda. Un vero esempio di tradizione romena che và ben oltre i canoni dei soliti luoghi comuni. Ma i Romeni, come abbiamo detto non ci stanno e protestano a gran voce sul Messaggero: «La Badescu non ci rappresenta vorremmo sapere per quale motivo Alemanno l'ha scelta, non ha nessuna competenza oltre a quella di essere, come dice lei, miss Romania» oppure «Va bene che una donna sia bella, se fa un calendario glielo compro - ha detto Cosmin, 58 anni, in Italia da più di dieci - ma non voglio una persona così in Comune, è inadeguata e non conosce i nostri problemi».

C’è chi si lascia prendere un po’ la mano, e sempre attraverso il Messaggero, fa partire un esempio di “stroncatura” politica, che in Italia farebbe subito cessare, il costante ed indispensabile “dialogo” tra le forze politiche, ma che si perdona perché viene da un cittadino Romeno, che si sa, non ha ancora dimestichezza con il metodo “democratico”: «è una ex comunista che sta con un fascista che porta la croce celtica al collo».

Che dire di più. La povera Ramona incassa con eleganza le critiche: «Io sono da poco nell'ambiente della politica - spiega - e sto cercando di imparare e recuperare. Per questo ho bisogno di più suggerimenti possibili, anche delle critiche per svolgere il ruolo di consigliere che ho preso molto sul serio», anche se bisogna dire che l’unico suggerimento che esce da queste contestazioni e quello di lasciare perdere e la soubrette-politik sembra voler andare per la sua strada. Perché è così che si fa in Italia, lo devono imparare gli amici Romeni. Da noi abbiamo nani e ballerine, pregiudicati e riciclati, ribaltoni, ex fascisti non del tutto pentiti e compagnia bella. Insomma, abbiamo gente che sa come si manda avanti uno stato, pur stando nel set di un calendario. Abbiamo dei ministri che c’è lo dimostrano.

Abbiamo Renato Brunetta che ha dovuto “rinunciare al premio Nobel” (a suo dire) per aiutare il nostro paese a liberarci dai “fannulloni”, anche se il deputato Barbato, non è molto d’accordo, definendolo il “prototipo del vero fannullone” visto che è un Ministro ma si ostinerebbe a prendere lo stipendio da parlamentare, pur non essendo più un deputato.

Ecco: questo devono imparare i nostri amici Romeni, e smettere di attaccare la bella Ramona, che in fin dei conti era li per caso. Ora, prenderà qualche lezione di recupero e si preparerà quasi fosse obbligatoria per lei la discesa in campo in politica. I nostri amici Romeni devono capire che nella maggior parte dei casi in Italia, meno hai da offrire al popolo, più vali.


Contributo inviato da Ivan Astorelli

sabato 29 novembre 2008

Caffè di traverso...


Se la mattina vi alzate, vi fate la doccia, vi presentate al cospetto della giornata con dei buoni propositi, forse dovreste evitare di collegarvi su Canale 5, per evitare che il caffè vi vada di traverso. Si è arrivati ad un punto dove ormai, sembra essersi realizzato magicamente, quel progetto di rinascita democratica che tanto aveva attanagliato i sogni di molti potenti. Oggi, l'intrattenimento e l'informazione (o presunta tale) si fondono in molte trasmissioni, ma la più "bella" e completa di tutte e sicuramente Mattino 5, condotta da Barbara D'Urso e un parterre d'eccezione tra i quali figura anche il noto giornalista Filippo Facci, che con l'aria di uno che è stanco di ripetere cose ovvie, arringa le masse di Mediaset con diverse tipologie di momenti. A volte si presenta con una rassegna stampa, piuttosto smilza in realtà, ma non si vuole annoiare la casalinga di Voghera, o addirittura, l'editoriale parlato. E così, tra un flirt dei vip e un sedicente giallo irrisolto, il telespettatore può usufruire di un commento sull'attualità politica molto "disinteressato".
Così, dalle reti gestite dalla famiglia del Presidente del Consiglio, possiamo sentire che l'opposizione è allo sbando, che Veltroni «sta facendo un errore dopo l’altro»; ma ci insinua un dubbio, tratto da un ragionamento che non fà davvero una piega: «ma siamo sicuri che ci sia solo da compiacersene? Veltroni deve scontare tutti gli errori commessi: ma siamo certi che il disfacimento del suo progetto sia interamente una buona notizia?»
Qui il dubbio sorge spontaneo. Direi che più di un telespettatore si sarà preso un paio di minuti per fare questa fondamentale riflessione con calma. Fortunatamente, la questione si sposta su faccende più significative : «mortale errore, non è andato da solo: s’è portato dietro il cane da guardia, uno che abbaia tutto il tempo, copre ogni tua parola, ti frega la bistecca dal piatto. Imbarcò Di Pietro per avere una minima possibilità di vittoria: ma era persa in partenza, perché Berlusconi era fortissimo e perché il governo Prodi era stato una sciagura. » Un'altra perla regalata agli spettatori che potranno certamente godere di tutta questa saggezza. Di Pietro se lo sarebbero presi per avere un aminima percentuale di vittoria. Insomma, Walter era disperato e doveva vincere. ma poi è lo stesso Facci a proporci l'antitesi a esser buoni o ad autosmentirsi andando contro al suo "impeccabile" ragionamento: «Fanno ridere, ora, quelli che imputano al loro segretario d’averli abbindolati: siamo seri, il progetto di Veltroni non è mai stato vincere delle elezioni che avrebbe perso anche un Berlinguer redivivo; il suo progetto era fondare una sinistra moderna, occidentale, credibile, un avversario e non un nemico.»

Insomma, voleva vincere, ma non voleva vincere. A parte la dubbia credibilità di parlare male di una opposizione dalla tribuna che ti ha concesso il governo, non si capisce dove fosse il tanto professato diritto di replica che emerge ovunque si faccia una trasmissione dove ci si permette di criticare il governo.
Insomma, nulla da dire, una gran bella trasmissione. Del resto è quella stessa rete che ci propone un modello educativo alla Grande Fratello, dove il gioco d'azzardo è una cosa bellissima, il tg è meglio se ci sono meno notizie e più culi e ricette e alla quale la Rai sembra essere stata felicissima di aggiornarsi.

Non bastasse, scopro, appena uscito di casa che lo stesso editoriale era pubblicato uguale identico, parola per parola la mattina stessa sul Giornale. Forse c'entra qualcosa che fanno parte dello stesso patrimonio "di famiglia".

In definitiva...meno male che Facci c'è, se no, come faremo a renderci conto di quanto profondamente deviata sia la libertà d'informazione in Italia.

Contributo inviato da Ivan Astorelli

Consiglio provinciale, interpellanza sulla sanità nell’Ulss 18

Perse importanti professionalità all’ospedale di Rovigo.
Sul “San Luca” un anno di dibattito senza risultati. Le “false comunicazioni sociali” del direttore generale e le carenze della presidenza della conferenza dei sindaci. Informazione e trasparenza.
Il Pd propone l’istituzione di sportelli sulla sanità e la creazione di uno spazio web per sindaci e cittadini.

Importante iniziativa in consiglio provinciale. Giuliana Gulmanelli, capogruppo del Partito Democratico, ha presentato una interpellanza sulla sanità nell’Ulss 18.
Dal documento, che sarà discusso nella seduta di venerdì 28 novembre 2008, emergono motivi di preoccupazione per l’ospedale di Rovigo che ha perduto numerose professionalità. Sul “San Luca” di Trecenta, si evidenzia che, per un anno, si è discusso a vuoto in conferenza dei sindaci, non senza responsabilità della presidenza.
Centrale il problema dell’informazione e della trasparenza. Per questo l’interpellanza chiede che la giunta provinciale si faccia promotrice, presso i comuni sedi di punto sanità, dell’apertura di sportelli presso i quali raccogliere le segnalazioni degli utenti. Inoltre, chiede che l’amministrazione provinciale metta a disposizione di sindaci e cittadini uno spazio in internet dedicato alla discussione dei problemi della sanità.

Avvertenza. Riporto di seguito il testo dell’interpellanza. Quando possibile ho aggiunto gli opportuni link agli articoli pubblicati sul blog http://ospedaletrecenta.blogspot.com

Abbreviazioni. SOC, struttura operativa complessa; SOS Dpt, struttura operativa semplice dipartimentale.

A: Presidente della Provincia di Rovigo
Presidente del Consiglio Provinciale
Assessore Provinciale alla Sanità

Oggetto: interpellanza sulla sanità nell'Ulss 18.Parlare di sanità è sempre difficile ma sempre più necessario. La nostra provincia è strutturata in due Ulss e la n. 18 conta su due strutture ospedaliere. Prevalentemente, nell’Ulss 18, è stato l’ospedale “San Luca” di Trecenta a suscitare l’attenzione delle amministrazioni locali a causa dei profondi cambiamenti di cui è stato oggetto negli ultimi anni. Ma la struttura rodigina non è esente da problemi. Abbiamo appreso che recentemente l’assessore Guglielmo Brusco ha visitato il Day Hospital oncologico dell’Ospedale di Rovigo e l’accoglienza è risultata problematica per carenze strutturali, per l’alto numero di pazienti e per un livello non ottimale di privacy. Inoltre, in questi mesi, si sono registrate le dimissioni del primario di neurologia, dott Domenico De Grandis, e quella del responsabile del laboratorio analisi; entro dicembre si concretizzeranno, se già non è avvenuto, le dimissioni del primario di radiologia, dott. Navarro e di quello di urologia. Un’emorragia di professionalità che deve suscitare attenzione da parte delle amministrazioni locali.
Per quanto riguarda l’ospedale di Trecenta, oggetto di numerosissimi interventi pubblici da parte dell’assessore alla sanità Guglielmo Brusco, la situazione è ancor più problematica. Ricordo soltanto, a titolo esemplificativo, la riduzione della piena operatività del pronto soccorso, la riduzione delle prestazioni di oculistica e la perdita secca del reparto di riabilitazione pneumologica.
Dal agosto 2007, per iniziativa del sindaco di Trecenta, c’è stato un tentativo di fare sintesi e di predisporre una serie di obiettivi essenziali finalizzati al rilancio della struttura. Nata come iniziativa circoscritta ai comuni del distretto 2, si è allargata a tutti i comuni dell’Ulss 18 e alla Conferenza dei Sindaci. La Conferenza ha prodotto due documenti, il primo in data 22 ottobre 2007, particolarmente critico nei confronti della direzione dell’Ulss, e un secondo, in data 29 novembre 2007, che definiva tre richieste precise che ricordo di seguito:
- istituire presso il Presidio Ospedaliero di Trecenta almeno due Dipartimenti strutturali autonomi di cui uno Medico Multidisciplinare (l’attuale Dipartimento di Continuità Assistenziale con le dovute integrazioni) e uno Chirurgico e dell’Urgenza;
- prevedere nei Dipartimenti, oltre alle attuali SOC e SOS Dpt, un numero adeguato di SOS Dpt che garantisca una reale autonomia clinica e gestionale soprattutto nelle branche specialistiche mediche e chirurgiche;riacquisire le SOC di Pronto Soccorso e di Radiologia con relative le apicalità.
I documenti vengono inviati ai comuni dell’Ulss 18 per essere approvati dai rispettivi consigli. Alcuni comuni lo fanno subito, altri se ne dimenticano, altri approvano ma non ne informano il presidente della conferenza. Passano così lunghi mesi e riscuote scarsa partecipazione la riunione della conferenza dei sindaci convocata a Badia Polesine il 13 marzo 2008. I pochi intervenuti concordano di chiedere l’intervento degli assessori regionali Renzo Marangon e Isi Coppola. Incontro che avviene il 9 giugno scorso e al quale partecipa anche il consigliere regionale Carlo Alberto Azzi. Infine, il 26 agosto scorso, un’ulteriore riunione della conferenza dei sindaci, dopo un anno, conclude questo dibattito. Alla riunione viene invitato anche il direttore generale dell’Ulss 18 il quale ha ricordato l’apertura della “casa del parto” e l’inaugurazione delle vasche per l'idrokinesi terapia, avvenuta lo scorso 21 luglio. La presidenza della conferenza dei sindaci non ha ritenuto invece di invitare l’amministrazione provinciale che pure, in tante occasioni, ha dimostrato il proprio interessamento per l’ospedale San Luca. Il direttore generale non ha fatto alcun cenno ai servizi che, durante la sua gestione, sono stati ridotti, circoscritti o del tutto cancellati.
Ma non si tratta solo di omissioni. Ad esempio, il 20 settembre 2006, ha dichiarato «smentisco tutte le voci che vedono il reparto di riabilitazione pneumologica di prossima chiusura» (Il Resto del Carlino), e «non capisco tutti gli allarmismi diffusi nei giorni scorsi» (Il Gazzettino). Ebbene, sei giorni dopo, il 26 settembre 2006, firmava il decreto n. 699 con cui il reparto è stato accorpato a medicina e ha cessato di esistere.
Queste non sono omissioni, sono false comunicazioni sociali. E questo apre il vero problema: avere informazioni certe.In questo senso non siamo stati supportati dalla presidenza della conferenza dei sindaci che non è stata nemmeno in grado di dare notizia , e men che meno rilievo, alle iniziative che ha adottato. Il sito internet della conferenza, ospitato dall’azienda Ulss 18, è straordinariamente privo di informazioni; non risulta aggiornato nemmeno l’elenco delle riunioni della conferenza stessa e della rappresentanza. Inoltre c’è chi ha dovuto spendere cinque mesi in richieste reiterate per ottenere copia di due verbali della conferenza in cui si è discusso dell’ospedale di Trecenta.
Il problema della trasparenza si pone, in primo luogo, rispetto all’azienda stessa che ha profuso ogni sforzo per evitare il rilascio di copia del decreto 699/2006 per poi, finalmente, cedere dopo tre mesi di insistenze. Dal sito aziendale, dopo questo episodio, è stato deciso di eliminare anche la semplice pubblicazione dell’elenco dei decreti adottati dal direttore generale.
Quale fiducia possono avere i cittadini di fronte a questi esempi? E quale fiducia possiamo nutrire noi amministratori locali?
Occorre qualcosa di nuovo. Un sistema di comunicazione che raccolga le segnalazioni dei cittadini e le informazioni dell’Ulss e che verifichi le une e le altre. Uno spazio in cui gli amministratori locali parlino dei problemi della sanità con la necessaria continuità e concretezza, senza perdere il filo degli eventi. Un luogo in cui conservare documenti e testimonianze per averli, come amministratori locali, sempre accessibili, e per garantire al pubblico la stessa accessibilità.
Va poi considerato un altro ordine di problemi che va a rafforzare l’esigenza di iniziative urgenti. La legge affida tutto il potere gestionale al direttore generale dell’Ulss. Proprio per questo è ormai indispensabile contemperare questo fattore con un contatto diretto con la popolazione e con le associazioni che si occupano, in varie forme, di sanità.
Tutto ciò premesso,
si chiede alla Giunta
- se intenda farsi promotrice presso i Comuni, in particolare quelli sedi di punto sanità, dell’istituzione di appositi sportelli per la raccolta delle segnalazioni degli utenti;
- se intenda attivare opportuni strumenti informatici al fine di favorire la circolazione delle informazioni raccolte e di stimolare gli amministratori locali alla trattazione dei problemi riguardanti la sanità in Polesine.

Rovigo, 21/11/2008

Il Capogruppo
Giuliana Gulmanelli

giovedì 20 novembre 2008

Polanski: che brutto film vedete in Italia...


Berlusconi? Un furbastro. E poi il ritorno della destra in Europa, l'ignoranza dei giovani sull'Olocausto. In arrivo al Festival di Torino diretto da Nanni Moretti, il premio Oscar lancia un allarme: attenti ai fantasmi

Al minuto 27 della chiacchierata, iniziando a parlare di cinema italiano, Roman Polanski si alza dal divano di pelle nera del suo studio e va a prendere sulla scrivania una foto ritagliata da un giornale inglese. È un'immagine di Berlusconi colto mentre sale in auto sorridente e saluta a mano aperta: «Guardi che espressione. Mi fa molto ridere questa foto ed è emblematica: ha un sorriso da clown, pare una maschera, e saluta come Hitler. E guardi il contrasto tra il suo sguardo da giullare e quello truce e solenne delle sue guardie del corpo. Dice così tanto questa foto...». Già. «Onestamente io l'Italia non la capisco» prosegue il regista premio Oscar nel 2002 con Il Pianista. «Per me è del tutto impossibile prevedere dove state andando. Berlusconi sfida ogni norma, ogni regola alla base del funzionamento del Paese. È sorprendente. Una cosa che mi ha sempre preoccupato, sin da quando abitavo a Roma trent'anni fa, è che il vostro eroe nazionale, dalla letteratura al cinema - soprattutto al cinema - è sempre una specie di imbroglione. Piccoli truffatori, furbastri disonesti. Gli italiani amano questi furfanti: si danno di gomito e dicono "ah ah, guarda quello come li ha fregati tutti" (in italiano, ndr). Non so se è un'eredità dell'impero romano, ma è pericolosa. In ogni cultura c'è il personaggio un po' mascalzone e canaglia, ma mai al livello italiano. E ora avete eletto il re degli imbroglioni: uno come Totò».Roman Polanski, un teenager di 75 anni, ci ha accolto negli uffici della sua casa di produzione, la RP, nella elegante Avenue Montaigne a pochi passi dai Campi Elisi, in maglioncino grigio, jeans strappato sul ginocchio, mocassino nero e ciuffi bianchi impennati sul capo.Ebreo polacco, durante le persecuzioni razziali fu nascosto presso varie famiglie cattoliche pagate dai suoi genitori. La madre morì ad Auschwitz quando lui aveva otto anni. Il padre, la sorella e la nonna riuscirono invece a sopravvivere ai lager nazisti. Nel Pianista c'era tanto della sua storia personale. Inutilmente? «Sono molto preoccupato e turbato per il vento di destra che tira in Europa» dice. «Mio padre mi diceva: tra cinquant'anni sarete di nuovo punto e a capo. Pensavo fosse un masochista o un pessimista oltre ogni limite, e invece aveva ragione. Sembra che in questa fase la memoria umana sia più corta che mai. In passato la memoria collettiva durava di più. Ora forse i ragazzi hanno troppe cose da ricordare, non so, ma è stupefacente come non sappiano assolutamente niente di quello che è successo sessant'anni fa. Me ne accorgo parlando coi giovani tedeschi, polacchi, francesi. Non sanno cosa fu il nazismo o chi fosse Stalin. Non ne hanno la più vaga idea. Ho provato a spiegare, ma mi sono reso conto che è inutile. Mia figlia ha sedici anni, è brava, studia, legge. Eppure certi argomenti le restano difficili da comprendere. Scopre certe cose a scuola, mi fa domande e vedo quanto sia difficile spiegare le cause del nazismo. Le nuove generazioni non sanno di cosa si parli, non hanno i riferimenti culturali. Bisognerebbe fare loro delle lezioni, ma i ragazzi non amano le lezioni. Non ho ancora fatto vedere R pianista a mio figlio di dieci anni perché ho pensato che potesse essere solo una pena inutile per lui. Ora non saprebbe come mettere in relazione le cose che sono accadute allora e perché...


Dal Venerdi di Repubblica 14/11/2008

martedì 18 novembre 2008

L'errore della Gelmini: non capire che gli italiani vogliono bene alla scuola


Il ministro ha unito contro di sè studenti, professori e genitori quando ha spacciato gli "ordini" di Tremonti per una campagna anti-fannulloni.


Ho capito che Maristella Gelmini sarebbe andata a sbattere quando l’ho vista in posa sulla copertina di “Panorama”, sdraiata sullo scalone del Ministero della Pubblica Istruzione con un vestitino alla Audrey Hepburn, le braccia incrociate dietro la testa. Complimenti al fotografo, un po’ meno all’onorevole che pure nella sua rapida carriera aveva dato prova di capacità politiche non indifferenti.Forte dei sondaggi che la indicano al vertice della popolarità grazie al voto in condotta, i grembiulini e altri provvedimenti vintage d’omaggio alla scuola che fu, la ministra dev’essersi gasata un po’ e ha ignorato che stava operando in un luogo speciale, dove, se apri una vertenza, è d’obbligo premunirsi col massimo della delicatezza.Colpa delle corporazioni, dei sindacati, dei baroni universitari, della solita rivolta italiana contro la meritocrazia? Senz’altro c’è anche questo, e la Gelmini avrà pensato di riscuotere sempre più consensi lanciando una crociata contro i fannulloni e gli sprechi della scuola. Il metodo Brunetta applicato a un’istituzione gigantesca, facendo buon viso al cattivo gioco imposto dalla Finanziaria di Tremonti che richiede subito tre miliardi di tagli alla Pubblica Istruzione (più o meno la somma stanziata per pagare i debiti e gli ammortizzatori sociali dell’Alitalia) e lascia intendere che seguiranno altre sforbiciate.Qui la Gelmini è maldestramente inciampata, altro che adagiata sullo scalone del Ministero. Dando prova di dilettantismo politico, non ha colto l’effetto luttuoso che il suo decreto 137 avrebbe esercitato tra gli insegnanti e, di conseguenza, tra le famiglie e gli studenti. Strano che una politica così attenta ai sondaggi ignorasse proprio l’unico che non collima con la sua impostazione reazionaria: la scuola italiana è un’istituzione pubblica benvoluta. E’ stata un potente fattore d’integrazione dei bambini stranieri, grazie alla dedizione di tanti insegnanti e dirigenti che non hanno aspettato le direttive dall’alto per affrontare l’emergenza. Sopravvive al di sotto degli standard di qualità internazionali ma resta il luogo in cui per amore dei figli si partecipa, si cercano soluzioni comuni, s’intessono alleanze con i docenti più autorevoli.Ammesso e non concesso che il governo dovesse intraprendere un’azione severa di tagli alla spesa scolastica (mentre annuncia erogazioni cospicue a banchieri e industriali), tutto gli conveniva fare tranne che mascherarla come una campagna di moralizzazione. Dagli asili alle università, dagli studenti di sinistra a quelli di destra, la Gelmini è riuscita nel capolavoro di riunire contro di sé tutti i suoi interlocutori. Rivelando un pressappochismo di cui potrà magari incolpare i suoi pessimi consulenti, ma che lei ha sposato improvvisando un braccio di ferro là dove politici più navigati avrebbero manifestato contrizione e pazienza. Del resto la deformazione mediatica della ministra trova conferma nel goffo richiamo al riformismo di Barack Obama: un tentativo d’accaparramento di un marchio che appartiene alla concorrenza.Eviterò i soliti, logori richiami alla rivolta del Sessantotto, non a caso molto più presenti nel senso comune dei governanti di destra che tra i giovani protagonisti della protesta. Berlusconi sogna di avere l’autorità di un generale De Gaulle, capace di riportare l’ordine alla fine di un maggio francese turbolento con la celebre frase: “La ricreazione è finita”.Invece manca, in chi ci governa, un afflato di rispetto e dedizione per la sacralità della scuola pubblica. Sì, proprio così, non esagero parlando di sacralità. Indispettisce chi le affida i figli, offende chi vi trasmette cultura, esaspera i ragazzi trattati come bambini, la sensazione che a questa scuola non si dia la giusta importanza. Non le si vuole bene.
Gad Lerner - Vanity Fair 05/11/2008
Contributo inviato da Sara Muratore

venerdì 7 novembre 2008

Carineria


Il mostro unico


Cari studenti facinorosi, sono la vostra amata ministra Gelmini.

Dopo il cinque in condotta e il maestro unico, ho una nuova idea che potrà risollevare la scuola italiana.Da dove inizia l'istruzione? Dall'asilo. E proprio qui bisogna intervenire, perché i bambini diventino obbedienti e ligi al dovere. E le favole, con la loro sovrabbondante fantasia e il loro dissennato spreco di personaggi, li allontanano dal sano realismo e dal doveroso conformismo e alimentano il pericolo del fuori tema, della deboscia, della droga e del bullismo facinoroso.

Perciò per decreto legge istituisco il Mostro Unico.

Sarà proibito leggere favole che contengano più di un mostro o di un cattivo, con relativo aggravio per la spesa pubblica, e soprattutto si dovrà, in ogni fiaba, sottolineare la natura perversa, facinorosa e vetero-comunista di questo mostro.

Secondo il DMU (decreto mostro unico) sono proibiti ad esempio Biancaneve e i sette nani, perché Grimilde e la strega sono un costoso e inutile sdoppiamento di personalità nocivo all'immaginario dei giovani alunni, per non parlare dell'ambigua convivenza tra Biancaneve e i sette piccoli operai, di cui uno, Brontolo, sicuramente della Cgil.

Cappuccetto Rosso è ammesso, ma si sottolinei come il cacciatore è evidentemente della Lega e il lupo di origine transilvana e rumena.

Proibito Ali Babà e i quaranta ladroni, ne basta uno.

Abolito Peter Pan, troppi pirati che gravano sulle casse dello stato.

Abolito Pinocchio, anche accorpando il Gatto e la Volpe in un unico animale, restano il vilipendio ai carabinieri e il chiaro riferimento a Mediaset del paese dei balocchi.

Ammesso Pollicino ma dovrà chiamarsi Allucione ed essere alto uno e settanta, per non costituire un palese sberleffo al nostro amato presidente del consiglio.

Proibito Hansel e Gretel, perché i mostri sono due, la madre e la strega, e inoltre si parla troppo di crisi economica.

Proibito il brutto anatroccolo. Se uno è brutto, lo è per motivi genetici e tale resterà. Inoltre Andersen era gay.

Parimenti proibito Il Gatto con gli Stivali per la connotazione sadomaso.

Proibita, anzi proibitissima Cenerentola. Le cattive sono tre e assomigliano tutte a me. Cioè alla vostra ministra superficiale, impreparata e ciarliera.
Ma la vostra Ministra Unica.
Contributo inviato da Rosella Giarola

lunedì 3 novembre 2008

Ma è vero che le zingare rapiscono i bambini?


Una ricerca dell'università di Verona sfata una leggenda nera, vecchia di cinque secoli


Estate 2007, spiaggia di Isola delle Femmine, Sicilia.
Due donne rom chiedono l'elemosina. All'improvviso, una bagnante urla perchè vede "una zingara che sta cercando di rapire un bambino, nascondendolo sotto la gonna". La donna viene portata in carcere con l'accusa di tentato sequestro. Giornali e TV si affrettano a dare la notizia.
Un caso di cronaca come un altro? Non proprio, secondo una ricerca commissionata dalla Fondazione Migrantes all'Università di Verona.
L'intento: verificare quanti siano i bambini rapiti dai rom negli ultimi anni.
Risultato: nessuno, come racconta anche chi ha seguito lo studio, Sabrina Tosi Cambini, nel libro appena pubblicato La zingara rapitrice (Cisu, pagg. 140, 15 euro).
La ricercatrice analizza tutti i 29 casi di presunti rapimenti di bambini da parte di rom dal 1986 al 2007. Solo in 6 si è arrivati a processo e in 3, poi, ad una condanna per tentao sequestro, mai portato a termine.
Ma allora come si spiegano episodi come quello di Isola delle Femmine? "La bagnante vede una donna che risponde alla categoria di "zingara", spiega Sabrina Tosi Cambini, "subito si attiva lo stereotipo "Gli zingari rubano i bambini", che fa si che la situazione venga interpretata in maniera sbagliata. Non a caso, il giudice ha ordinato la scarcerazione della donna, sostenendo che i suoi movimenti, se compiuti da qualsiasi bagnante, sarebbero stati letti in maniera innocua".
E quando invece si arriva in tribunale? "Quelle poche volte", prosegue Tosi Cambini, "di solito è perchè sembra impossibile che una madre italiana inventi una cosa del genere su suo figlio. Il racconto viene dato per vero, specie se confrontato con quello di una persona di un gruppo socialmente "screditato", come sono i rom in Italia. Quegli stessi rom a cui vengono tolti con grande facilità i figli, per darli in affido a famiglie italiane.
"Le prime tracce della figura della "zingara ladra di bambini" risalgono a una commedia veneta del 1545, La zingana", spiega Leonardo Piasere, coordinatore della ricerca. "Questa figura è entrata nell'immaginario collettivo, come nelle più classiche leggende metropolitane".
Probabilmente, la leggenda aleggiava anche nella testa di quella turista italiana che l'11 settembre ha creduto di vedere in Grecia la piccola Denise Pipitone (scomparsa nel 2004), in compagnia di una falsa madre. Rom , naturalmente.

Elisabetta Ambrosi (Vanity Fair, numero speciale 5° anniversario, Ottobre 2008)
Contributo inviato da Sara Muratore

giovedì 30 ottobre 2008

Tra debiti e divieti i Comuni non fanno opere pubbliche

Corriere della Sera

ROMA- Il sindaco di Benevento Fausto Pepe, già esponente di spicco dell'Udeur di Clemente Mastella, avrebbe volentieri fatto a meno della bacchettata che la Corte dei conti ha assestato alla sua amministrazione il 24 luglio scorso. Purtroppo però, anche il suo comune è scivolato nel tritacarne dei derivati: ad agosto dello scorso anno ha dovuto negoziare un nuovo contratto, visto che l'operazione di swap stipulata l'anno prima avrebbe potuto determinare una perdita di oltre nove milioni di euro. E adesso, pure sperando che il calo dei tassi gli dia una mano, comunque non ha da scialare. Come molte altre amministrazioni locali. Certamente però se i margini di intervento dei comuni italiani per finanziare in proprio le opere pubbliche locali si sono ristretti tragicamente negli ultimi anni non è soltanto per la scelta, talvolta sconsiderata, di affidarsi alla finanza creativa nella speranza di fare un pò di cassa, salvo poi rischiare il dissesto. Il fatto è, sostiene il rapporto sulle opere pubbliche pubblicato da Intesa San Paolo, che "nonostante i proclami di crescente autonomia da assegnare alle amministrazioni decentrate, sono stati posti in essere interventi legislativi tali da ridurre al minimo gli spazi di manovra degli enti territoriali".

Il risultato è che al 31 dicembre dello scorso anno i loro investimenti erano scesi al livello del 2004, anno nel quale avevano toccato un livello del 38% superiore a quello del 2000. Tutto questo mentre il fabbisogno di infrastrutture locali è in crescita fortissima. In Lombardia è superiore dell'11% circa rispetto alla media nazionale, quasi come in Veneto, dove il gap risulta del 13%. Ma nel Lazio il fabbisogno è pari al 142,5% della media nazionale, in Puglia al 168,3% in Campania al 171,1% e in Sicilia arriva al macroscopico dato del 220%. Puglia, Campania, e Sicilia, d'altra parte, sono anche le regioni nelle quali allo stato attuale appare più difficile che altrove mettere in moto finanziamenti. E non a caso sono quelle dove negli ultimi anni gli enti locali sono riusciti a spendere meno soldi. A fronte degli 881 euro procapite investiti in infrastutture in Trentino-Alto Adige nel 2006, le amministrazioni della Campania hanno potuto spendere soltanto 342 euro, contro 209 euro della Puglia e della Sicilia. Tirando le somme, al Sud la spesa per le infrastrutture locali è risultata del 20% inferiore rispetto alla media nazionale.
"Ad aggravare la posizione finanziaria dei Comuni con riferimento alla spesa per investimenti", è scritto nel rapporto curato da Laura Campanini e Fabrizio Guelpa di Intesa San Paolo e da Ref (Ricerche per l'economia e la finanza), "concorre in modo grave il disposto, introdotto convulsamente in fase di conversione" del decreto di luglio sulla manovra economica, "che inibisce l'uso dei proventi da dismissione per il finanziamento della spesa per investimenti". In sostanza, mentre l'articolo 58 di quel provvedimento quasi impone agli enti locali la dismissione del patrimonio non funzionale all'attività, una norma successiva impedirebbe di investire il ricavato. Se questo divieto non venisse rimosso, argomenta il documento, potrebbe venire meno "una qouta pari al 38% della spesa per opere pubbliche degli enti locali". Lo studio considera tuttavia "non meno compromettenti per il finanziamento degli investimenti" le norme che "hanno ridotto l'autonomia tributaria dei Comuni e, di conseguenza, la loro capacità di prendere a prestito".
Giro di vite che ha a che fare con un altro vincolo previsto dal decreto di luglio. Si tratta del divieto imposto ai Comuni di aumentare i propri debiti oltre una determinata soglia. Ipotizzando che questo limite venga fatto coincidere con l'attuale media nazionale, il rapporto giunge alla conclusione che "ai Comuni del Centro-Nord verrà inibito l'uso del debito nei prossimi anni, mentre quelli del Mezzogiorno conservano qualche spazio di manovra".
In questo caso si produrrebbe la curiosa situazione per cui i Comuni del Piemonte, della Liguria e del Lazio si troverebbero a essere più in difficoltà rispetto agli enti locali della Sicilia, della Sardegna e del Molise.

Sergio Rizzo

lunedì 27 ottobre 2008

Il ritorno del Popolo

Repubblica — 26 ottobre 2008

"L' Italia - dice Veltroni gettando lo sguardo all' orizzonte - è un paese migliore della destra che lo governa". Benissimo. Ma il dubbio è che l' Italia alla quale si rivolge il leader del Pd, in piedi nella polvere e seduta sull' erba dello stadio, sia tale anche perché ha compreso che la politica è qualcosa di più e di meglio che dividersi su ogni cosa, specie nello stesso partito, restandone immusonita e a braccia conserte senza produrre niente di nuovo. Il Circo Massimo è pieno, ci mancherebbe. Scenario di ragguardevole bellezza, ruderi e cipressi. Atmosfera serena, partecipazione matura, a tratti perfino gioiosa. Riuscita mescolanza musicale, tutto sommato, nei cortei e sul palco, i Beatles e Bella ciao, gli U2 e Fratelli d' Italia, magari anche Pezzali, chiamato a intrattenere la piazza democratica, di sicuro l' orchestra multietnica di Piazza Vittorio. E poi non ha nemmeno piovuto, come doveva. Tutti contenti, è fatta, anche oggi, evviva. Chissà se alla fine, sotto le nuvole color del piombo, a qualcuno è venuto in mente che quella bella piazza conteneva una specie di lezione. Se la prossima volta, invece che in vista sul palco, sotto il baldacchino, dietro le transenne che delimitavano l' area dei notabili da quella della gente comune, ecco, magari sarebbe potuta andare ancora meglio se i D' Alema, i Rutelli, i Bettini, i Fassino, le Melandri, i Fioroni, i Ranucci, addirittura, invece che lassù, debitamente in vetrina, si fossero mischiati ai manifestanti per raccoglierne più da vicino la voce e anche l' energia. Quale prodigio, insomma, se i dirigenti fossero stati ancora più vicini alla loro gente, rinunciando al ruolo necessariamente privilegiato, in mezzo alla calca, sulla spianata, dove si sta scomodi, o laggiù in fondo, dove non si vede niente, dietro i gazebo, come tutti, come gli altri, come gli ultimi. Che poi, notoriamente, sono i primi. Perché i primi, appunto, sono quelli venuti da lontano, con i treni speciali, quelli normali, e i pullman. Da Avetrana, per dire, lontano Salento, viaggio notturno, a partire dalla mezzanotte, 5 euro e una scorta di bottigliette d' acqua, "a volontà" dice uno con rassicurante allegria. Prima sosta a Canne della Battaglia, per la pipì, poi alla stazione di servizio Casilina. Il pullman li ha lasciati all' Eur, qui hanno fatto colazione, poi hanno preso la metro e adesso sono alla stazione Ostiense. Occhi rossi e piedi gonfi: per il Partito democratico. Così è accaduto. "Io - dice fiero un agricoltore - ho perso una giornata di lavoro". In realtà l' ha regalata al Pd: forse dovrebbero tenerne conto gli ex affittuari del loft, le cui finestre chiuse sono a meno di cento metri dal maxi palco. Per alcuni è un sacrificio, per la maggior parte un divertimento. Comunque la signora con la cerata rossa della Cgil ha 79 anni, viene da Torino ed è partita alle 23,30. Solo quando si potrà leggere questo articolo sarà, forse, tornata di nuovo a casa sua. Forse, potrebbero farci un pensierino gli strateghi di una sconfitta che hanno così duramente fatto fatica a riconoscere. Dividendosi invece di reagire compatti. "Vieni mo' a mangiare": questi manifestanti vengono da Bologna e hanno preso il treno alle 6 e mezzo, sveglia alle quattro. Stanchi? "Mo' no, è normale" sorridono: il partito chiama e loro rispondono, è così dai funerali di Togliatti, gli succede ogni anno di venire a Roma. Uno divora un bignè, camminando; un altro tira il respiro e allunga il passo. I bolognesi, naturalmente, hanno tutti il cappelletto bianco e la bandiera nuova. I napoletani si salutano e si abbracciano, rumorosamente. Arrivano a Roma sospinti da qualcosa di cui s' è persa la traccia, lo spirito della militanza. Senza che alcuno li accolga come si dovrebbe, con un caffè, un panino, un arancio, qualcosa. Ma pazienza, sono abituati a non avere la vita facile. A Ostiense l' onorevole Franceschini gli stringe la mano, firma autografi sui berretti e fa un paio di interviste televisive. Dopo una mezzora se ne va e i treni continuano ad arrivare. Ancora da Bologna, da Genova, da Civitavecchia. Le signore in tuta, con la borsetta leggera e l' ombrello, gli anziani con le scarpe da ginnastica, i ragazzi con il megafono aggiustato con lo scotch. Sembrano, o forse sono davvero in gita, e non gli pesa. Un sorso d' acqua, una sigaretta, un attimo di smarrimento, un sospiro e un sorriso di sollievo al sole autunnale di Roma. Com' è più semplice, e intensa, e generosa, la politica vissuta alla base; e quanto più appagante rispetto a quella dei professionisti! Partono i cortei, tutto va come deve andare, il Circo Massimo si colma. Quanti sono, alla fine? Boh. Benedetto chi è esentato, anche stavolta, dall' esagerazione contabile e necessitata di questi tempi di contatti, audience, sondaggi. Perché negli ultimi anni le stime si confrontano a distanza di mesi e anni e il risultato è che sembrano aver smarrito razionalità, non di rado sfidando matematica, fisica, geometria e buonsenso. Ma quel che davvero fa impressione, oggi, e sorprende più di qualunque eccesso, è che ancora così tante persone hanno risposto all' appello e sono arrivate fin qui. Nonostante la delusione, nonostante la sconfitta e una crisi di rappresentanza che impone novità, fatiche, cautele e che spiega gli aspetti meno felici della vita interna: proliferare di fondazioni, dispetti, sprechi, tentazioni di inciucio sulla Rai, perenne disputa sui soldi, rivalità al sole e pugnalate nell' ombra. Tutto questo oggi può essere, se non archiviato, certo purificato dalla grande partecipazione di tanta gente. I dirigenti del Pd hanno promesso in anticipo il "pienone" senza rendersi conto che forse in questo modo facevano un torto al loro stesso popolo, sminuivano la sua preziosa varietà trasformandola in pura astrattezza numerica, folla indifferenziata. Come quella della foto che l' ufficio propaganda del Pd ha acquistato per avventura, chissà a che prezzo, per reclamizzare sui muri d' Italia la manifestazione, senza accorgersi che era una folla di piazza San Pietro. Ecco: domani non ci sarà bisogno di comprare foto. Al Circo Massimo, per una volta, la politica è ritornata in mano alla "gente" senza paura di qualificare questa entità primaria deformandone la dizione (la "gggente") secondo logiche tele-qualunquiste. E questo è accaduto mentre la regia proiettava a lungo sui maxi-schermi i volti dei soliti noti, D' Alema, Bersani, Epifani, silenziosi visitors a mezzo busto. Nell' arena molti più giovani e donne del solito, belle facce pulite e significative, una varietà e una freschezza che per esprimersi non ha bisogno di edulcorazioni ed espedienti comunicativi perché viene dal basso, secondo l' antica nozione della rappresentanza. Così, vista dal Circo Massimo, sia la vana nevrosi della conta che le cifre inevitabilmente esagerate rischiano di non fare giustizia alla grande e visibile riserva di umanità che il Partito democratico ha messo in campo e portato a Roma da tutta Italia. Striscioni. Cartelli. Ricordi della giornata da riportare al paese. L' orgoglio di Torremaggiore, la fantasia di Pagani, la foto ricordo di Sesto San Giovanni, la compostezza dei sardi. E le ragazze coi capelli verdi scatenate nel mambo, i vecchi metalmeccanici che le hanno viste tutte, quelli che con la mafia devono fare i conti ogni giorno. La storia siamo noi: ma sul serio, come cantavano dal palco, "quelli che hanno letto un milione di libri/ e quelli che non sanno nemmeno parlare". Popolo, nel senso classico e nobile della parola. Persone semplici e anonime, per lo più, ma proprio per questo eccezionalmente piene di allegria e dignità. Emozioni vere, fuori dal recinto dei Vip. "Un' altra Italia è possibile" ha concluso Veltroni. E stai a vedere, forse anche un altro Pd.

FILIPPO CECCARELLI

domenica 26 ottobre 2008

Università, il business dei laureati precoci


Tasic, un serbo di 19 anni, è finito su tutti i giornali del mondo perché, partito per l'America per studiare, ha preso la laurea e pure il dottorato in otto giorni? Noi italiani, di geni, ne abbiamo a migliaia. O almeno così dicono i numeri, stupefacenti, di alcune università. Numeri che, da soli, rivelano più di mille dossier sul degrado del titolo di «dottore». I «laureati precoci», studenti straordinari che riescono a finire l'università in anticipo sul previsto, ci sono sempre stati. È l'accelerazione degli ultimi anni ad essere sbalorditiva. Soprattutto nei corsi di laurea triennali, dove i «precoci» tra il 2006 e il 2007, stando alla banca dati del ministero dell'Università, sono cresciuti del 57% arrivando ad essere 11.874: pari al 6,83% del totale. Tema: è mai possibile che un «dottore» su 14 vada veloce come Usain Bolt? C'è di più: stando al rapporto 2007 sull'università elaborato dal Cnvsu, il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, quasi la metà di tutti questi Usain Bolt, per la precisione il 46%, ha preso nel 2006 l'alloro in due soli atenei. Per capirci: in due hanno sfornato tanti «dottori» quanto tutti gli altri 92 messi insieme. Quali sono queste culle del sapere occidentale colpevolmente ignorate dalle classifiche internazionali come quella della Shanghai Jiao Tong University secondo cui il primo ateneo italiano nel 2008, La Sapienza di Roma, è al 146˚ posto e Padova al 189˚? Risposta ufficiale del Cnvsu: «Stiamo elaborando i dati aggiornati per la pubblicazione del rapporto 2008. Comunque i dati sui laureati sono pubblici e consultabili sul sito dell'ufficio statistica del Miur». Infatti la risposta c'è: le culle del sapere che sfornano più «precoci» sono l'Università di Siena (494ª nella classifica di Shanghai) e la «Gabriele D'Annunzio» di Chieti e Pescara, che non figura neppure tra le prime 500 del pianeta. Numeri alla mano, risulta che dall'ateneo abruzzese, che grazie al contenitore unico di un'omonima Fondazione presieduta dal rettore Franco Cuccurullo e finanziata da molte delle maggiori case farmaceutiche (Angelini, Kowa, Ingenix, Fournier, Astra Zeneca, Boheringer, Bristol- Myers...), conta su una università telematica parallela non meno generosa, sono usciti nel 2007 la bellezza di 5.718 studenti con laurea triennale. In maggioranza (53%) immatricolati, stando ai dati, nell'anno accademico 2005-2006 o dopo. Il che fa pensare che si siano laureati in due anni o addirittura in pochi mesi. Quanto all'ateneo di Siena, i precoci nel 2007 sono risultati 1.918 su un totale di 4.060 «triennali»: il 47,2%. La metà.

Ancora più sorprendente, tuttavia, è la quota di maschi: su 1.918 sono 1.897. Contro 21 femmine. Come mai? Con ogni probabilità perché alla fine del 2003 l'Università firmò una convenzione coi carabinieri che consentiva ai marescialli che avevano seguito il corso biennale interno di farsi riconoscere la bellezza di 124 «crediti formativi». Per raggiungere i 148 necessari ad ottenere la laurea triennale in Scienza dell'amministrazione, a quel punto, bastava presentare tre tesine da 8 crediti ciascuna. E il gioco era fatto. Ma facciamo un passo indietro. Tutto era nato quando, alla fine degli anni Novanta, il ministro Luigi Berlinguer, adeguando le norme a quelle europee, aveva introdotto la laurea triennale. Laurea alla portata di chi, avendo accumulato anni d'esperienza nel suo lavoro, poteva mettere a frutto questa sua professionalità grazie al riconoscimento di un certo numero di quei «crediti formativi» di cui dicevamo. Un'innovazione di per sé sensata. Ma rivelatasi presto, all'italiana, devastante. Colpa del peso che da noi viene dato nei concorsi pubblici, nelle graduatorie interne, nelle promozioni, non alle valutazioni sulle capacità professionali delle persone ma al «pezzo di carta», il cui valore legale non è mai stato (ahinoi!) abolito. Colpa del modo in cui molti atenei hanno interpretato l'autonomia gestionale. Colpa delle crescenti ristrettezze economiche, che hanno spinto alcune università a lanciarsi in una pazza corsa ad accumulare più iscritti possibili per avere più rette possibili e chiedere al governo più finanziamenti possibili. Va da sé che, in una giungla di questo genere, la gara ad accaparrarsi il maggior numero di studenti è passata attraverso l'offerta di convenzioni generosissime con grandi gruppi di persone unite da una divisa o da un Ordine professionale, un'associazione o un sindacato. Dai vigili del fuoco ai giornalisti, dai finanzieri agli iscritti alla Uil. E va da sé che, per spuntarla, c'è chi era arrivato a sbandierare «occasioni d'oro, siore e siore, occasioni irripetibili». Come appunto quei 124 crediti su 148 necessari alla laurea, annullati solo dopo lo scoppio di roventi polemiche. Un andazzo pazzesco, interrotto solo nel maggio 2007 da Fabio Mussi («Mai più di 60 crediti: mai più!») quando ormai buona parte dei buoi era già scappata dalle stalle. Peggio. Perfino dopo quell'argine eretto dal predecessore della Gelmini, c'è chi ha tirato diritto. Come la «Kore» di Enna che, nonostante il provvedimento mussiano prevedesse che il taglio dei crediti doveva essere applicato tassativamente dall'anno accademico 2006-2007, ha pubblicato sul suo sito internet il seguente avviso: «Si comunica che, a seguito della disposizione del ministro Mussi, l'Università di Enna ha deciso di procedere alla riformulazione delle convenzioni» ma «facendo salvi i diritti acquisiti da coloro che vi abbiano fatto esplicito riferimento, sia in sede di immatricolazione che in sede di iscrizione a corsi singoli, nell'ambito dell'anno accademico 2006-2007».

Bene: sapete quanti studenti risultano aver preso la laurea triennale nell'ateneo siciliano in meno di due anni grazie ad accordi come quello con i poliziotti (76 crediti riconosciuti agli agenti, 106 ai sovrintendenti e addirittura 127 agli ispettori) che volevano diventare dottori in «Mediazione culturale e cooperazione euromediterranea»? Una marea: il 79%. Una percentuale superiore perfino a quella della Libera università degli Studi San Pio V di Roma: 645 precoci su 886, pari al 73%. E inferiore solo a quella della Tel.M.A., l'università telematica legata al Formez, l'ente di formazione che dipende dal Dipartimento della funzione pubblica: 428 «precoci» su 468 laureati. Vale a dire il 91,4%. Che senso ha regalare le lauree così, a chi ha l'unico merito di essere iscritto alla Cisl o di lavorare all'Aci? È una domanda ustionante, da girare a tutti coloro che hanno governato questo Paese. Tutti. E che certo non può essere liquidata buttando tutto nel calderone degli errori della sinistra, come ha fatto l'altro ieri Mariastella Gelmini dicendo che di tutte le magagne universitarie «non ha certo colpa il governo Berlusconi che, anzi, è il primo governo che vuol mettere ordine». Sicura? Certo, non c'era lei l'altra volta alla guida del ministero. Ma la magica moltiplicazione delle università (soprattutto telematiche), la corsa alle convenzioni più assurde e il diluvio di «lauree sprint», lo dicono i numeri e le date, è avvenuta anche se non soprattutto negli anni berlusconiani dal 2001 al 2006. E pretendere oggi una delega in bianco perché «non si disturba il manovratore», è forse un po' troppo. O no?

Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella

venerdì 24 ottobre 2008

Riflessioni su libertà e paura


Spesso può accadere che, dopo una giornata spesa a lavorare, magari dietro una scrivania, a contatto col pubblico, davanti ad un PC, a studiare sui libri o davanti ad un nastro trasportatore, si torni a casa, e si cerchi relax. E nell'isola di relax che ci si trova, se se ne trova il tempo, la lettura o l'ascolto dei telegiornali sono attimi preziosi.

Ed è proprio allora che inizia il divertimento: dichiarazioni tanto decise e infervorate da poter essere poi smentite con la massima calma e tranquillità, che suonano come dichiarazioni di guerra, nell’affermazione di una libertà proclamata. Ma quella che governa è la paura, e diffondere il terrore sembra sia diventata una disciplina olimpica apprezzata a livello mondiale. E paura genera paura. Ma, soprattutto, la paura vende.

Paura dell’altro-da-sé, paura della recessione economica, paura di non farcela.

Forse dunque è per questo che, per paura di non avere la situazione sotto controllo, si inizia a limitare, almeno a parole, la libertà, o almeno lo si sostiene con convinzione.

Credo che il modo di agire potrebbe essere ben diverso. Riporto qui di seguito un discorso di Alcide De Gasperi che mi sembra esemplificativo della tensione verso democrazia, libertà e all’impegno. pur riferendosi alla scelta tra Monarchia e Repubblica, appare estremamente attuale:



La domanda vera è questa: «Volete instaurare la Repubblica, cioè, vi sentite capaci di assumere su voi, popolo italiano, tutta la responsabilità, tutto il maggior sacrificio, tutta la maggiore partecipazione che esige un regime, il quale fa dipendere tutto, anche il Capo dello Stato dalla vostra personale decisione, espressa con la scheda elettorale?
Se rispondete sì, vuole dire che prendete impegno solenne, definitivo per voi e per i vostri figli di essere più preoccupati della cosa pubblica di quello che non siete stati finora, d'aver consapevolezza che essa è cosa vostra e solo vostra, di dedicarvi ore quotidiane di interessamento e di lavoro; ma soprattutto vorrà dire che avete coscienza di potere con la vostra opera difendere nella Repubblica la libertà che è il bene supremo, la libertà di coscienza del cittadino in tutti i campi di fronte allo Stato, ai partiti, alla collettività sociale, la libertà di essere ciascuno padrone in casa vostra. E avete la coscienza che questa forma dello Stato non minaccia, ma rafforza l'unità del paese.1



Si parla spesso di ‘strategia del terrore’, perché c'è sempre qualcosa che ci fa paura affrontare. Fa comodo chiudersi e vedere quel che ci sta accanto. E una visione miope della realtà impedisce di considerare le cose importanti: si smette di investire, si smette di pensare al futuro, a coltivare una società che guardi al di là del proprio naso, non necessariamente la società del "Mulino Bianco", ma una società che si impegni con coerenza, che integri meglio che può, in uno scambio di idee e di culture, insieme all’altro, allo straniero, e non separata da esso.

Penso che il futuro ci chiami ad agire, non a reprimere la novità, al dialogo, alla sfida. E se non investiamo noi nel nostro futuro, o su quello che sarà dei posteri, chi lo farà?

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1 Il testo integrale del discorso è reperibile sul sito Internet www.degasperi.net/show_doc.php?id_obj=1733&sq_id=0.
Contributo inviato da Alessandro Zocchi

Cure ai clandestini: il colpo di spugna della Lega

Ecco l'emendamento presentato in Senato. Denuncia per chi si cura ma non ha il permesso, pagamento anticipato delle prestazioni

“L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”.È questo il passaggio del Testo Unico sull’immigrazione che la Lega vuole eliminare. E spera di farlo con un semplice colpo di penna: “Il comma 5 dell’articolo 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 è soppresso” recita un emendamentoal disegno di legge sulla sicurezza presentato a palazzo Madama da cinque senatori in camicia verde.L’intento dichiarato è permettere che i clandestini vengano segnalati, e quindi espulsi, dopo le cure. È più probabile però che in questo modo si tengano semplicemente i clandestini lontani dagli ospedali, con le prevedibili disastrose conseguenze per la loro salute e per quella di chi (in caso di malattie infettive) entrano con loro in contatto. Oltre che eliminare il divieto di segnalazione, l’emendamento al disegno di legge sulla sicurezza prevede un giro di vite anche sul pagamenti delle prestazioni sanitarie da parte dei clandestini. Questo andrà effettuato prima delle cure e solo se queste sono urgenti e non differibili potrà essere posticipato. Ad ogni modo, chi si rifiuterà di pagare verrà denunciato.
Scarica l’emendamento presentato dalla Lega

mercoledì 22 ottobre 2008

Le pecorelle di Berlusconi


Opposizione e franchi tiratori affossano la candidatura di Gaetano Pecorella alla Corte costituzionale.


martedì 21 ottobre 2008

Clima bulgaro


Sul clima e la commissione europea Berlusconi accusa l’opposizione di «fare polemiche » contro l’Italia, ma non si sofferma sui Paesi ai quali si è accodato. Ecco l’elenco: Bulgaria, Polonia, Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Romania e Slovacchia. Tutti «inquinatori» dell’ex blocco sovietico.